giovedì 12 ottobre 2017

PAPA FRANCESCO SULLA PENA DI MORTE CONDANNA LA TRADIZIONE CRISTIANA A COMINCIARE DAL FONDATORE DEL CRISTIANESIMO CHE FU S. PAOLO



Questo papa sta demolendo la tradizione cristiana condannando la pena di morte. Ha detto che la pena di morte è contraria al Vangelo. Questa è una grossa falsità. Nei Vangeli non vi è una sola frase di condanna della pena di morte. Non vi è nemmeno un accenno ad essa. Pertanto è falso il dire che i Vangeli siano contrari alla pena di morte. Il cristianesimo non ha Gesù come fondatore, bensì S. Paolo. Fu lui a propagandare il cristianesimo nell'impero romano ancor prima che venissero scritti i Vangeli, giacché il primo Vangelo, quello di Marco, viene fatto risalire ad un anno non precedente all'anno 50 (anche se gli studiosi ritengono che la prima fonte di tutti i Vangeli sia il proto Vangelo di Matteo scritto in ebraico, da non confondere con il successivo Vangelo di Matteo, scritto in greco, come tutti gli altri Vangeli, per cui è da escludere che i Vangeli siano stati scritti da Marco, Matteo, Luca e Giovanni, che certamente non conoscevano il greco). Senza S. Paolo il cristianesimo sarebbe rimasto una setta religiosa all'interno della Palestina, secondo l'intendimento dello stesso S. Pietro, che, volendo convertire solo gli ebrei,  per questo motivo si trovò in disaccordo con S. Paolo. S. Paolo giustificò la pena di morte e dopo di lui anche il maggiore Padre della Chiesa, S. Agostino, e il maggiore dottore di essa, S. Tomaso, giustificarono la pena di morte. La storia della Chiesa è piena di condanne a morte, dai roghi del Medievo sino alla ghigliottina (importata dalla Francia) impiegata nello Stato pontificio di Pio IX. Il papa PioXII fu il papa che maggiormente giustificò la pena di morte. Riporto quanto scrissi sull'argomento in Scontro tra culture e metacultura scientifica.  


Sul diritto naturale si fonda la giustificazione della pena di morte. La condanna della pena di morte discende dalla solita confusione tra morale e diritto, che porta lo Stato a sostituirsi alla vittima innocente che non avrebbe voluto moralmente perdonare, con la conseguenza contraddittoria che l’assassino avrebbe un diritto naturale alla vita maggiore rispetto a quello della vittima. Coloro che, “allignando nella palude dell’emotivo”,[1] gonfi di sentimento, ma privi di ragione, attribuiscono ipocritamente alla pena una funzione rieducativa (come si desume dall’art. 27 della Costituzione italiana), e non afflittiva, ritengono barbari i sostenitori della pena di morte. 




[1] Carlo Nicoletti, Sì, alla pena di morte?, Cedam 1997, p. 60.  L’autore  soltanto per ragioni di cautela ha preferito aggiungere il punto interrogativo al titolo del suo testo. Egli ritiene che la concezione emendativa, cioè quella che pone come scopo della pena il recupero del colpevole, sia profondamente utopica e ipocrita perché non tiene conto delle condizioni e dei luoghi di pena, per cui “una carceraria città del sole costituisce niente di più che una contraddizione in termini” (p.9).   Tale concezione è soltanto una dichiarazione di intenti, in quanto “il ravvedimento è sempre e comunque un fatto individuale” (p.11). Quanto alla concezione  della pena come prevenzione, essa è  cinica, perché, prescindendo da ogni implicazione morale, ha come fine quello di isolare chi costituisce un attentato all’ordine sociale. ||Tuttavia l’autore||, professore di diritto processuale civile a Cagliari, ritiene che quest’ultima concezione  “è quella che perfettamente si attaglia alla pena di morte” ||(p. 16)||, quando pare, invece, evidente che sia la concezione retributiva, per la corrispondenza che essa richiede tra il delitto e la sua punizione. L’autore precisa che la pena non può essere assimilata alla vendetta perché quest’ultima può essere accompagnata dal piacere di restituire il male. Ma allora dovrebbe escludersi anche il piacere della giustizia.

     

Tra questi barbari dovrebbero essere inclusi allora anche il fondatore del cristianesimo, S. Paolo (che nell’Episola ai Romani riconobbe al governo, anche pagano, l’jus gladii, cioè il diritto di spada), nonché il maggiore Padre della Chiesa, S. Agostino, il maggiore dottore di essa, S. Tomaso, il padre del liberalismo moderno, Locke, il maggiore filosofo dell’Illuminismo, Kant, sino a giungere a Pio XII, che, proposto per la beatificazione da Giovanni Paolo II, difese una concezione vendicativa della pena e giustificò la pena di morte vedendo nel disprezzo dell’ordine pubblico un’opposizione a Dio (Acta Apostolicae Sedis 47, 1955). Pio XII. l’ultimo grande papa. Dopo di lui il caos nella Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II, facendo visita ad un carcere, invitò i carcerati a sopportare la loro croce, come se i delinquenti di ogni specie potessero essere considerati vittime e non carnefici. Il buonismo che uccide la giustizia.

Nelle Lettere[1]Agostino evidenzia come il perdono possa avere conseguenze negative su chi, invece di correggere la propria condotta, incrudelisca nella sua arroganza, oppure, correttosi nella sua condotta, induca tuttavia altri ad approfittare sperando in eguale impunità. Riprendendo il pensiero di S. Paolo, Agostino scrive: “Se fai il male, abbi paura, poiché l’autorità non senza ragione porta la spada; essa infatti è strumento per infliggere punizione ai malfattori in nome di Dio”. Inoltre S. Agostino scrisse nel De libero arbitrio che “se l’omicidio consiste nel distruggere o uccidere un uomo, talvolta si può si può uccidere senza commettere peccato; questo vale per il soldato col nemico, per il giudice o il ministro con coloro che fanno del male”.

In Agostino prevale la teoria della prevenzione come giustificazione della pena di morte. Una funzione prevalentemente retributiva, oltre che emendativa e di prevenzione, ha, invece, la pena di morte per S. Tomaso, che nella Summa theologica (II, II, q. 68, a.1) giustifica la pena come vendetta che si esercita sui malvagi in quanto questi usurpano i diritti di Dio e nella Summa contra Gentiles  (III, cap. 146), dopo aver scritto che la vita del delinquente deve essere sacrificata, allo stesso modo in cui “il medico taglia a buon diritto e utilmente la parte malata, aggiunge che “uccidere un uomo che pecca può essere un bene come uccidere un’animale nocivo. Infatti un uomo cattivo è peggiore e più nocivo di un animale nocivo”. Vi è dunque da domandarsi quale credibilità possa avere oggi la Chiesa, che, rinnegando circa 2000 anni di dottrina, da S. Paolo ad oggi, ha abolito nel 1999 dal Catechismo la pena di morte. La condanna della pena di morte vuole essere espressione di superiorità morale (dettata dal sentimento), ma è di fatto espressione di inferiorità giuridica, causata dalla corruzione del diritto da parte della morale.




[1] Agostino, Lettere, II, Città Nuova, 1971, pp. 541-47.

Papa Francesco: «La pena di morte è contraria al Vangelo» - Avvenire

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21 feb 2016 - Per il Giubileo un “consenso internazionale” sulla “abolizione della pena di morte“. E coloro che tra i “governanti” sono cattolici, compiano un ... 

1 commento:

Sergio ha detto...

Sono sempre stato contrario alla pena di morte, per ragioni estetiche più che morali, e consideravo perverso il parere di Kant sulla necessità di eseguire una pena capitale ad ogni costo, cascasse il mondo. Perché non eseguirla sarebbe stata un'offesa alla giustizia (Kant dice che anche se incombesse la fine del mondo sarebbe lo stesso necessario eseguire prima una condanna a morte decretata). Ultimamente sto cambiando idea in merito alla pena di morte, visto che filosofi contemporanei - tra cui Melis - invece la sostengono con buoni se non ottimi argomenti. Trovo poi insopportabili il moralismo e la melensaggine degli abolizionisti a cui sembra interessare soprattutto il recupero dei delinquenti. Questi infliggono quotidianamente ovunque nel mondo la pena di morte a vittime innocenti, a volte con una efferatezza e crudeltà inaudite. Le vittime ammazzate non hanno più diritto di replica, assistiamo invece alle ridicole sceneggiate dei parenti delle vittime che - bontà loro - perdonano gli assassini (vogliono esser buoni e moralmente superiori perdonando). Quanto alla Chiesa cattolica essa ha sempre sostenuto la pena di morte fino all'altro ieri, vedasi il Nuovo Catechismo supervisionato da Ratzinger allora cardinale. Ma Francesco, in cerca disperata di popolarità, si accoda al corrente moderna di pensiero che aborre la pena di morte (che i delinquenti infliggono giornalmente alle vittime). Il delinquente è considerato oggi una vittima da recuperare, da reinserire nella società (con tanti saluti alle vittime sottoterra). Ai tempi di Gesù la pena di morte era un fatto normale (era comminata non solo da parte dei Romani, anche gli ebrei la infliggevano ai blasfemi come Gesù - "ha bestemmiato, è reo di morte"). Papa Francesco dopo una visita a un carcere ha detto: "Perché sono loro lì dentro e non io?" È vero che non pochi delinquenti hanno delle attenuanti per i loro crimini - che del resto il diritto considera. Ma se seguiamo il ragionamento di Bergoglio fino alle ultime conseguenze dovremmo addirittura abolire il diritto e i tribunali, visto appunto che i criminali sono in ultima analisi innocenti (è tutta colpa della società o della famiglia o di chissà che diavolo se sono stati costretti a delinquere). "Chi sono io per giudicare?" - le ultime parole famose di un papa eretico e sciocco. Sull'eresia di Francesco non ci piove: ha praticamente abolito la teologia, i dogmi, la tradizione, puntando esclusivamente sulla misericordia. Ma non ci può essere misericordia senza giustizia. È vero che Gesù ha detto: non giudicate se non volete essere giudicati. I giudizi affrettati e ingiusti sono in effetti da deplorare, ma non si può non giudicare. A Bergoglio bisognava replicare: be', se non vuoi giudicare hai sbagliato mestiere perché un'autorità giudica sempre.