mercoledì 16 luglio 2014

L'UMANITA' SI DIVIDE IN CINQUE CATEGORIE. LA PIU' BASSA E' QUELLA DEI SUBANIMALI

I cacciatori sono dei subanimali. Infatti i predatori non uccidono per divertimento ma per motivi di sopravvivenza. I cacciatori sono peggio dei macellatori perché nemmeno questi si divertono uccidendo. Godo ogni volta che ho notizia che qualcuno di questi subanimali è crepato per incidente di caccia. Sono anche vigliacchi perché usano una rosa di pallini che non lasciano scampo alla povera vittima di questi subanimali, la cui vita vale meno di quella delle loro innocenti vittime. Se non esistesse la galera a difesa della vitaccia di questi subanimali ....

  1. Richiami vivi, il governo ci condanna all'infrazione - Beppe ...

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IL PD SPACCATO IN DUE
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Dal mio libro IO NON VOLEVO NASCERE

Gli uomini possono essere distinti in cinque categorie. 1) veri uomini; 2) uomini veri; 3)uomini comuni; 4) semiuomini; 5)falsi uomini (subanimali).Le prime tre categorie possono comunicare tra loro, non esistendo alcuna cesura fra esse.

Sono veri uomini coloro che arrivano ad avere una concezione tragica dell’esistenza, consapevoli che essa è nulla, non esistendo risposte alla domanda sul significato della vita. I veri uomini non danno mai troppa importanza a ciò che fanno, anche quando siano uomini di grandi imprese nella conoscenza scientifica, che non può dare alcuna risposta circa il senso della vita. Essi vivono un’esistenza autentica. Si potrebbe portare come esempio massimo la grande figura di Marc’Aurelio, che, pur essendo imperatore e condottiero di eserciti – e come tale si sentiva portatore di una missione storica nel difendere i confini dell’Impero – tuttavia percepiva che anche la sua vita non aveva alcun significato. Il suo stoicismo ruppe le dighe del rassegnato ottimismo di Epitteto, confortato da una prospettiva razionale del mondo, per dilagare in un pessimismo cosmico a causa delle infiltrazioni di un epicureismo che funse da alimento di una interiorità divenuta riparo da una visione delle cose del mondo considerato privo di scopo e di senso. Egli si conquistò tale interiorità pur combattendo vittoriosamente contro i Germani che avevano superato i confini dell’Impero e ristabilendo l’ordine delle armi in Oriente. Il sentimento della caducità e della precarietà della condizione umana gli derivava anche dal ritenere, al contrario di Epitteto, che valutava l’importanza della logica, che tutto fosse opinione: “Tutto è opinione…Il tempo dell’umana vita è un punto; la sua materiale sostanza un perenne fluire; la sensazione tenebra; l’organismo corruzione; il principio vitale l’aggirarsi di una trottola; la fortuna non si può indagare; la gloria è cieca…sogno e vanità” (Ricordi, II,15). “Tutto dura un giorno…” (IV, 35). “La totalità dei tempi è …corrente che a forza travolge… Le singole cose, appena venute, già sono trasportate via” (IV, 43). “Nulla di nuovo: ogni cosa, sempre quella; e ogni cosa rapidamente trapassa” (VII, 1).Ma se il mondo non ha senso, Marc’Aurelio lo trova come proiezione di un atteggiamento ispirato al dovere di sentirsi responsabili all’interno dei rapporti umani: “Ogni uomo è un mio affine, non certo per identità di sangue o di seme, ma in quanto partecipe di una mente e di una funzione che è divina, cui spetta il sovrano dominio”. Da qui la missione da lui sentita “di un governo in cui la legge abbia vigore per tutti; governo informato a eguaglianza e a libertà di parola, un regno capace di rispettare per suprema ragione la libertà dei sudditi” (I, 14). La fede in una provvidenza nella storia viene intaccata dal dubbio ispirato dalla concezione epicurea che vede nella natura formata da atomi il dominio della casualità (XII, 14). E allora basta accontentarsi della ragione che è in noi e vivere nel presente senza aspettarsi un premio nell’aldilà. (VII, 73). “Cerca di mettere a profitto il presente con giusta ragione e con giustizia” (IV, 26).

Sono uomini veri (cioè di verità) coloro che contribuiscono al miglioramento della vita portando avanti l’impresa scientifica. Esempio di tale categoria è Einstein, che potrebbe appartenere anche alla prima se avesse coerentemente ed apertamente detto che nemmeno la relatività generale e il modello cosmologico dell’universo stazionario potevano dare una risposta alla domanda circa l’origine dell’universo, il significato dell’esistenza umana o di qualsiasi forma di vita intelligente nell’universo. Quando seppe che Hubble nel 1929 aveva scoperto che l’universo non era stazionario ma in espansione, cadde in crisi e ritenne che il suo modello cosmologico fosse il grande errore della sua vita. Errore che si trasformò in una grande vittoria quando recentemente fu scoperta l'energia del vuoto (o energia oscura), che è la forza di espansione dell'universo visibile e che contrasta la forza di gravitazione. Ma il suo trascurare ogni interesse per una vita comune, fatta di banalità quotidiane (si sposò due volte soltanto per scaricare sulle mogli i fastidi di una vita materiale), il suo sentirsi non appartenente ad alcuno Stato, il suo pacifismo che lo portò a rinunciare alla cittadinanza tedesca, ancor prima della salita al potere del nazismo, per assumere poi quella svizzera al fine di sottrarsi al servizio militare, il suo stesso non sentirsi nemmeno ebreo, se questo significava credere nelle idiozie della Bibbia, tutto ciò lo può porre anche nella categoria dei veri uomini. Ma non basta essere grandi scienziati (cioè uomini veri, che sono tali perché mettono a frutto la razionalità che distingue l’uomo dagli altri animali - essendo, come disse già Aristotele, il fine maggiore dell’esistenza umana la conoscenza scientifica - per essere anche veri uomini. Includerei in questa categoria anche i grandi artisti, sebbene oggi sia per me difficile, se non impossibile, credere che ve ne siano ancora se si arriva persino a delle aberrazioni che consentono di esporre come arte una “merda d’artista”. La musica, non quella leggera, che non è arte – facendo parte del costume - è arrivata ad un punto di crisi tale da far pensare che non si tratti più di musica ma di sperimentazione cacofonica.

Appartengono alla terza categoria (uomini comuni) tutti coloro che appartengono al mondo del lavoro manuale e dei servizi che sono necessari per la vita animale e sociale. Essi vivono nella banalità quotidiana. Hanno il peso di un’esistenza intesa come ricerca della sopravvivenza materiale, pur essendo benemeriti per il lavoro che fanno. Che tuttavia li priva- perché immersi nel quotidiano della routine della vita, con tutte le sue miserie - della capacità di elevarsi ad un livello superiore nella coscienza. A questa categoria appartiene quasi tutta l’umanità. Dai contadini, ai commercianti, agli impiegati dei vari uffici. Ma sono da includervi anche giudici ed avvocati, che vivono una vita spiritualmente miserevole, costretti a dedicare il tempo, non allo studio, ma alle scartoffie dei fascicoli di causa che esprimono quanto di più di miserevole vi sia nella vita, quella che si svolge nei Tribunali. Vi includerei anche i medici quando siano soltanto degli operatori (anche chirurgici) che non partecipino con lo studio al progresso della conoscenza nella medicina. Da aggiungervi anche tutti i professori universitari che sfornano nozioni ed erudizione esponendo le idee degli altri, incapaci di averne delle proprie perché privi di originalità di pensiero ed incapaci di far avanzare la ricerca scientifica. Vi includerei anche tutti i filosofi, se essi non dovessero essere inclusi in una categoria peggiore per il loro continuare a rimasticare concezioni morali dietro il paravento di un’erudizione e di un linguaggio per iniziati che nasconde la loro povertà di pensiero ed il danno che essi costituiscono nel loro perpetuare una concezione antropocentrica, e perciò antiscientifica, del mondo. Si vedrà ciò nell'ultimo capitolo, limitandomi ad analizzare la miseria della filosofia in Italia, portata da coloro che nei mass media si ritengono, o sono ritenuti, maestri di pensiero, mentre in realtà sono dei falliti incoscienti di esserlo.

Appartengono alla quarta categoria (dei semiuomini) tutti coloro che vivono da parassiti nel mondo effimero dello spettacolo da intrattenimento, che non si eleva al livello dell’arte, che è creatività. A questa categoria appartiene anche quasi tutto il mondo del cinema, che produce ormai roba da buttar via e che non rimarrà certamente nella storia del cinema. Vi appartiene anche il mondo della musica leggera (quando non raggiunga il livello di una arte minore, ammesso che si possa parlare d’arte, se pur minore, e non di artigianato, nel campo della musica leggera) con tutti i suoi falsi miti, che riescono a radunare masse di ebeti urlanti ed applaudenti, che si annoierebbero a morte ascoltando Bach o Wagner. Di questa gente bisogna avere un assoluto disprezzo. Vi appartengono anche i calciatori (parassiti che si arricchiscono grazie agli imbecilli che pagano per vedere una partita sul campo o alla TV.), come anche quelli dediti ad altre discipline sportive, che si rovinano la giovinezza e la salute sottoponendosi a sforzi muscolari che sono innaturali. Le Olimpiadi sono il pietoso spettacolo di una umanità inutile dedita alla ricerca di primati del corpo, e non della mente. Le discipline sportive non apportano certamente alcun contributo al miglioramento spirituale e materiale della vita umana. Includo nella stessa categoria anche il mondo della moda, che pretende di essere creatività, mentre è soltanto superficialità dedita all’arricchimento. Vi includo anche tutti coloro che vivono per arricchirsi, compresi i grandi industriali, che apparentemente sono dei benemeriti quando siano stati capaci di creare una grande impresa creando posti di lavoro. Ma il loro fine è l’arricchimento e la ricerca di potere, non certamente quello di migliorare la condizione sociale dei lavoratori. Essi, inoltre, sfruttano le idee altrui (scientifiche e tecnologiche) per il miglioramento della produzione. In generale, con poche eccezioni, non si arricchiscono coloro che hanno idee, ma coloro che hanno capitali per acquistarle. Vi appartengono anche quasi tutti i politici che formano la palude dei parlamenti, a cui arrivano per sete di poltrone e non per capacità, essendo marionette manovrate dai capi dei partiti, pronte a votare secondo disposizioni che vengono dall’alto, senza nemmeno conoscere i testi delle leggi che stanno votando. Ma non sono da escludere nemmeno quelli che, per esempio in Italia, hanno il reale potere, e che si possono contare non andando oltre le dita di due mani. Sono le solite facce che appaiono alla TV. Non vi è uno tra essi che abbia la statura di vero uomo di Stato, libero dalle beghe di partito e considerante la politica un servizio piuttosto che manifestazione di potere. Per questo ormai dal 1994 appartengo al partito dei non votanti. Bisognerebbe diminuire il numero degli eletti in proporzione al numero dei non votanti, fatta salva una fascia fisiologica (10-15%) di non votanti. Bastano 50.000 firme per una legge di iniziativa popolare. Ma poi dovrebbe essere il parlamento ad approvarla. E i raccattatori di voti si opporrebbero all'approvazione di una legge che minacciasse il loro potere. In alternativa bisognerebbe mutare la Costituzione per permettere che una legge di iniziativa popolare fosse approvata direttamente dagli elettori con un referendum propositivo, che si aggiungesse a quello abrogativo di una legge votata dal parlamento. Ma per mutare la Costituzione si dovrebbe trovare un gruppo di parlamentari, anche minoritario, capace di formulare un disegno di riforma costituzionale da sottoporre all'approvazione della maggioranza degli elettori. Allora i parassiti della politica verrebbero messi con le spalle al muro e non non avrebbero più l'arroganza di chi sa di avere la poltrona assicurata indipendentemente dal numero dei votanti. Senza questa riforma non vi potrà essere mai vera democrazia. Rousseau l'ha insegnato concependo una volontà popolare che si possa esprimere direttamente senza passare attraverso le strettoie e le pastoie di una democrazia cosiddetta rappresentativa, dove l'eletto non ha alcun vincolo di mandato.

Ha scritto Aristotele (Politica, VIII) che ogni popolo ha il governo che si merita. Io aggiungo che ogni governo ha il popolo che si merita. Un governo che vuole combattere l’evasione fiscale dissipando esso stesso il danaro pubblico per alimentare le clientele e per mantenere milioni di individui che vivono di politica – non volendo dimezzare, almeno, il numero dei parlamentari, non volendo abolire le inutili regioni e province né accorpare i piccoli Comuni in un unico Comune (bastando negli altri un ufficio per rilasciare certificati) – si merita un popolo di evasori fiscali. L'istituzione delle regioni con poteri legislativi, invece che solo amministrativi, ha causato una pletora di leggi regionali che, confliggendo spesso con quelle statali per sovrapposizione ad esse, ha portato ad una parcellizzazione del potere centrale a beneficio di interessi locali, anche mafiosi, volti ad una aggressione del territorio. Si è così identificato il decentramento amministrativo con quello legislativo. Si potrebbero aumentare con il risparmio sulla politica almeno le pensioni minime.

Appartengono alla quinta categoria (dei subanimali) tutti gli assassini, specialmente coloro che tolgono la vita agli innocenti. Per essi, come disse già Platone (Leggi, IX), “la pena è la morte, il minore dei mali, esempio utile a tutti gli altri, che senza onore lo vedranno annientato”. Coloro che appartengono alle organizzazioni a delinquere sono la specie peggiore nella categoria degli assassini. Essi si identificano il più delle volte con i trafficanti di droga. Anche Beccaria era favorevole alla pena di morte per costoro, sebbene nessuno lo dica per ignoranza o disonestà intellettuale e politica. Beccaria, come Rousseau, li considerava nemici dello Stato, non più cittadini. E’ bene che essi periscano, dice Rousseau (Contratto sociale), se non vuole perire lo Stato. Costoro non possono nemmeno essere considerati uomini. Debbono essere annientati come subanimali. Oltre che criminali sono anche stronzi, perché vivono o nascosti, perché ricercati, o con la paura di essere eliminati nella guerra tra bande. Dunque non possono nemmeno godersi la grande massa di danaro che manovrano, comandando anche dal carcere, ricattando guardie carcerarie, direttori delle carceri e anche giudici. Se fossero soltanto animali non umani, sarebbero certamente migliori, perché gli animali non umani non uccidono mai per crudeltà ma per ragioni di sopravvivenza alimentare. Soltanto la pena di morte ci libererebbe per sempre da questi schifosi subanimali.

Sono da includere nella quinta categoria anche tutti i cacciatori, che reputano uno sport l’uccidere, i macellatori e i macellai, come pure quelli che, pur non essendo assassini di uomini, tuttavia sono di una insensibilità che arriva al piacere della crudeltà, sia nei riguardi degli uomini che degli animali non umani. Sono dei subanimali tutti gli ebrei osservanti del kosher e gli islamici osservanti della halal, cioè della “macellazione rituale”, perché credono che il povero animale che finisce in un mattatoio sia impuro se non viene macellato in stato di coscienza, con crudele e lenta morte per dissanguamento mentre, legato per terra dagli ebrei osservanti, si divincola tremendamente per sottrarsi agli spasmi della morte.1
Alla stessa categoria appartengono i fanatici religiosi che uccidono convinti di diventare martiri e guadagnarsi così dei meriti presso un dio nato da menti farneticanti. Sino a quando non si capirà che molti uomini sono tali soltanto biologicamente, mentre essi vanno considerati sotto il livello dell’animalità, si continuerà a blaterare anche in filosofia della “dignità della persona umana”.

Ho un tale odio per questa umanità subanimale, che di fronte a notizie di atti di crudeltà degli uomini nei confronti degli animali non umani, veri innocenti della Terra, anche quando sono predatori, ma per ragioni di sopravvivenza, godrei nell'essere un boia nei confronti di questi subanimali. Con quale gioia metterei il cappio al loro collo e manovrare una leva per aprire la botola e vederli scendere impiccati. Mi fanno più impressione gli atti di crudeltà nei confronti degli animali non umani che quelli commessi nei confronti degli uomini. Forse perché questi rientrano, anche se innocenti, nel concetto di umanità, almeno intesa come specie. Come, purtroppo, anche i subanimali della mafia. Un bel cappio al collo e questa feccia sparirebbe per sempre. Buffone o connivente (e perciò corrotto) lo Stato che crede di combattere la mafia democraticamente, quando è la stessa “democrazia” il terreno di coltura della mafia. Basterebbe 1/3 di Hitler riveduto e corretto (senza antisemitismo) per estirpare la mafia nel tempo di un mese. Mi viene il vomito a sentire i soliti discorsi inconcludenti contro la mafia, pensando che possa essere eliminata educando la società “civile”, a iniziare dalla scuola, o cambiando il clima culturale con libri (come Gomorra) o film (come la Piovra) contro la mafia, che, invece, la rendono più forte, quando è la stessa società, volente o non volente, ad essere permeata dalla mafia. Il fascismo riuscì soltanto ad addormentare la mafia con il prefetto Mori, con un sostanziale accordo con essa.

Si dice spesso, di chi abbia commesso un efferato delitto, che egli ha avuto un comportamento “bestiale”. Niente di più errato. Quest'individuo sarebbe stato migliore se fosse stato “bestiale”. Il termine dispregiativo “bestia” (che dovrebbe essere sostituito dall'espressione “animale non umano”) nasce da una tradizione antropocentrica. In realtà le cosiddette bestie sono migliori dei subanimali umani perché esse non uccidono mai per crudeltà ma per la necessità di sopravvivere nella catena alimentare preda-predatore, essendo normale che non si uccidano tra loro animali appartenenti alla stessa specie.

Dovrei aggiungere una sesta categoria, trasversale, in cui includere tutti coloro che, da ipocriti e da impostori, mangiano carne ma non avrebbero mai il coraggio di andare almeno una volta nella vita in un mattatoio per ricavarsi da sé la carne che mangiano. Essi non devono ritenersi migliori dei macellatori.

Mi rimangono dei dubbi circa il collocamento di uomini come i buddisti e tutti coloro che vivono in monasteri dediti alla meditazione religiosa senza avere contatti con la realtà sociale, o perché economicamente indipendenti, come i monasteri cristiani, o perché viventi di aiuti esterni (soprattutto elemosine), come i monasteri buddisti. Vi è infatti da domandarsi se questo sia un ideale di vita. Nonostante tutte le simpatie che si possano avere per il Dalai Lama, mi domando che contributo i buddisti possano dare al miglioramento della vita materiale, dovuta unicamente alla ricerca scientifica. Lo stesso vale per i frati dei monasteri, nonostante debba confessare di avere avuto sempre una forte attrazione per gli edifici monastici, luoghi di silenzio lontani dal caos della vita “normale” ed un tempo in Europa unico rifugio del sapere. Luoghi di silenzio, quasi fuori di questo mondo che odio. Avrei desiderato trascorrere una vacanza ospite di un monastero. Pur non partecipando alla vita monastica di preghiere. Avrei avuto piacere di discutere soprattutto con dei domenicani, nelle loro vesti bianche, ieratiche, per metterli a confronto con tutti i miei pensieri, di fronte alle loro stronzate. Non ne avrei certamente tratto alcuna consolazione. Ma mi sarei preso il gusto di metterli in crisi. Non “credo ut intelligam” (S.Agostino), ma intelligo ne credam. Non “credo per comprendere”, ma comprendo per non credere.

Non posso che nutrire un profondo disprezzo per quasi tutta l’umanità. Quando mi accorgerò che sto per lasciare la vita mi consolerà almeno il pensiero di abbandonare un’umanità quasi tutta ributtante.

Ho lasciato questo messaggio come mio testamento, con tutto il pessimismo necessario di chi vive sapendo di dover soffrire sino al mio ultimo giorno di una grande solitudine di fronte ad una umanità sorda, muta e cieca perché malata della malattia più grave e più diffusa sulla Terra: l’antropocentrismo.

Vorrei che, per un improvviso forte aumento o decadimento dell'energia solare, la vita sparisse dalla Terra insieme con me. Così non continuerei a vivere nutrito di invidia per coloro che continueranno a vivere dopo di me. Tanto, prima o dopo, la vita sparirà sulla Terra, e non rimarrà alcuna traccia di essa. “La fine dell'umanità non sarebbe una tragedia, ma la fine di una tragedia”.2 Che finisca oggi o dopo qualche milione di anni che differenza fa? Dal sistema solare non si potrà mai uscire. Siamo tutti in una gabbia. La stella più vicina è l'alfa del centauro, che non ha pianeti. Per raggiungerla occorrerebbero 4 anni e mezzo viaggiando alla velocità della luce. La stella più vicina che ha un pianeta simile alla Terra dista 500 anni luce. Questo significa che eventuali esseri intelligenti che vivessero su tale pianeta avrebbero oggi notizie di noi vecchie di 500 anni. Ma nessun messaggio ci è provenuto da tale pianeta. Siamo soli su questa Terra. Isolati dal resto dell'universo. Morremo tutti senza mai avere certezze, nemmeno scientifiche. Aggrappatevi pure, o uomini, alle religioni. Sono state tutte inventate in epoche di ignoranza.

1 La descrizione impressionante di tale crudeltà è descritta da un documento dell'associazione dei veterinari di Torino.

2 Peter Wessel Zapffe, Sul tragico, op. cit.
 

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